Il Decreto Sviluppo nella legge fallimentare in relazione al concordato preventivo

Il legislatore, ben consapevole che nella maggior parte dei casi l’impossibilità di salvare aziende in crisi è dovuta ad un ricorso tardivo alle procedure fallimentari, ha introdotto nel decreto sviluppo del 2012 ( D.L 83/2012 convertito in legge 134 del 2012) un nuova normativa sul concordato preventivo che ha lo scopo di “soccorrere” le aziende prima che la situazione divenga insostenibile.
La prima misura introdotta a tal scopo è rappresentata dal concordato preventivo con riserva o prenotativo, esso consente di chiedere di accedere alle procedure in oggetto pur senza presentare il piano di risanamento, ma presentando quest’ultimo successivamente, questo concede un beneficio temporale rilevante in quanto mettere a punto un piano di risoluzione della controversia con i creditori richiede del tempo. In questo modo da subito possono essere bloccate le azioni esecutive e cautelari dei creditori e vi è quindi un’immediata protezione del patrimonio. Di questo ne ha parlato anche un importante esperto di diritto civile, l’avvocato Giampiero Martini.
Il decreto sviluppo prevede anche che, sia nel caso in cui sia presentata la domanda con riserva, sia nel caso in cui sia presentata la domanda completa già del piano, la stessa travolge anche le ipoteche giudiziali iscritte prima della pubblicazione del ricorso.
Nonostante si possa fare la richiesta di accedere al concordato preventivo anche senza l’elaborazione di un piano preventivo, la domanda deve comunque essere obbligatoriamente corredata di alcuni documenti ovvero, la delibera di un organo amministrativo se si tratta di una società, altrimenti basta la sottoscrizione del debitore, la sottoscrizione del legale rappresentante che deve essere un soggetto iscritto in appositi albi, l’autocertificazione dell’imprenditore di non aver già presentato domanda di ammissione a procedure fallimentari negli ultimi due anni. Devono inoltre essere allegati i bilanci degli ultimi tre esercizi o una documetazione sostitutiva di cui si possano comunque dedurre gli elementi in oggetto, un atto che riassuma la situazione patrimoniale e il numero di iscrizione al Registro delle imprese, ciò serve a verificare se la competenza territoriale appartiene al tribunale a cui è stata presentata la domanda.
In seguito alla richiesta, come ribadisce anche lo stesso Giampiero Martini, se il tribunale ritiene che non vi sia la competenza territoriale o che comunque la domanda non abbia tutti gli elementi previsti emette un decreto di rigetto, in caso contrario può stabilire un termine entro il quale deve essere presentato il piano ( il termine non può essere inferiore a 60 giorni e superiore a 120, esso però è prorogabile una sola volta) oppure può chiedere di assumere ulteriori informazioni prima di indicare il termine per la presentazione del piano.
Quest’ultimo deve essere presentato ai creditori che devono a maggioranza assoluta approvarlo, lo stesso può contenere diverse soluzioni come:
– la ristrutturazione del debito anche mediante cessione dei beni, accollo, attribuzione di azioni o quote o altri strumenti finanziari;
– l’attribuzione delle attività ad un assuntore;
– la cessione dell’azienda, il conferimento in altre società o anche la prosecuzione da parte dello stesso titolare;
– infine la suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati.
Contestualmente al decreto con cui viene ammesso il concordato preventivo, viene anche nominato il commissario giudiziale e un giudice delegato che hanno il compito di vigilare sulla sorte delle operazioni svolte e sull’amministrazione dell’impresa.
Il concordato preventivo a differenza del concordato fallimentare offre il vantaggio di continuare l’attività dell’impresa e quindi tendenzialmente aiuta anche a conservare i posti di lavoro, le imprese che sono sottoposte a tale procedura possono anche partecipare a gare pubbliche purché ne rispettino i requisiti previsti nel bando.