Arte per la vita e artista per la vita

Arte per arte o arte per la vita. Un dibattito che si origina in un passato indecifrabile e che si articola fino ad oggi. Da una parte c’è chi vede l’arte bastevole a se stessa, l’espressione più alta del potenziale umano e, in quanto tale, sufficiente in sé per autogiustificare la sua esistenza. Dall’altra parte chi sostiene l’arte per la vita, ovvero la manifestazione artistica come qualcosa messa a disposizione dell’uomo come linguaggio universale con cui comunicare l’incomunicabile. Scuole di pensiero, non partiti; chiunque può (e forse dovrebbe) schierarsi, dare la propria opinione, capire in che modo egli la sente, ma nessuno dovrebbe cercare di prevaricare sull’altro, tentare di sopraffarlo e lottare per spuntarla. Sono due visioni che possono e devono convivere, l’arte del bello, l’estetismo di Oscar Wilde e D’Annunzio, il classicismo e il canone della continua ricerca della perfezione da un lato, le motivazioni sociali e politiche di chi con lo strumento arte vuole provocare cambiamento o anche solo riflessione, da Dante a Leopardi, passando per Caravaggio e Chagall dall’altra.

Un artista è sempre un artista; può subordinare l’arte alla vita o renderla una risorsa a briglie sciolte,ma non potrà mai svincolare se stesso dalla cieca e fedele obbedienza all’arte. Perché se artista si nasce, la ragione è che egli brama e desidera un modo proprio di interpretare ciò che esiste e ne asseconda il desiderio ogni secondo, ogni attimo. L’artista non va in ferie, non prende pause, non abbandona il proprio status, perché gli è impossibile, perché violenterebbe la sua stessa natura. Così scrisse Joseph Conrad, sintetizzando con ironia e acume: ”Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”