“Amor ch’a nulla amato amar perdona”. Quante volte l’abbiamo sentita! La maggior parte di noi sa che è un verso della Divina Commedia (più precisamente il verso 103 del Canto V dell’Inferno); qualche persona in meno ricorderà anche a quale personaggio Dante mette in bocca questa frase, ovvero Francesca da Rimini, amante di Paolo Malatesta ma intrappolata in un matrimonio privo di sentimento con il fratello del suo vero amore, Gianciotto.
Ma qual è il significato di questa melodica, delicatissima e – a onor del vero – un po’ cervellotica frase? La terzina continua con “mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona”. Semplificandone la parafrasi la strofa si potrebbe riscrivere così: l’amore, che impedisce a chi ama (a nullo amato) di non amare a propria volta, mi catturò con la sua bellezza così intensamente, che, come puoi vedere, ancora adesso non mi abbandona. Dietro questa banale semplificazione però, c’è un mondo ricco di melodia, soavi virtuosismi letterari e intrecci morfologici che solo all’interno della poetica dantesca possono essere davvero compresi e cercare di spiegarli diventa impresa titanica.
Una seconda interpretazione della frase è quella secondo cui l’amore che non perdona è quello che Francesca ha sancito davanti a Dio con Gianciotto e che, chiaramente, non consente di amare nessun’altro al di fuori del talamo. Tutto ciò apre a un parallelismo in cui vengono soppesati l’amore sancito dalla sacralità e quello sospinto dalle vere passioni umane. Amore, amato e amar si susseguono in maniera tambureggiante in un’unica frase, in tal modo Dante suggerisce attraverso i suoni e il ritmo il turbinio che ha abbracciato e inghiottito i due amati, in un cono che li vuole ancora uniti anche nella dannazione eterna.
L’amore intenso che Paolo ripone nella fanciulla impedisce a ella stessa di non ricambiare, ma il voto che Francesca ha contratto davanti a Dio configura quel’amore come impossibile, contravvenendo allo stesso principio che il sentimento stesso postula. Tutto ciò viene espresso da Dante in un unico, straordinario verso.